C’è così tanta bellezza qui intorno, un senso di pace che è un privilegio enorme, più che mai. Al verde degli ulivi che non conosce stagioni si sta unendo l’orchestra variamente verdeggiante dei boschi intorno. Lo scroscio del torrente ha il suono pieno che si sente solo in questi mesi, poi diventa un sussurro coperto dai fischi e dai chioccolii degli uccelli.
Accade che gli ospiti che passano di qui siano persone speciali, o meglio che in qualche modo abbiano un talento speciale anche nello scoprire i dintorni, muri a secco e fasce giù fino al torrente. Così è stato per Simone, artista calligrafa, insieme alle sue amiche, in una vacanza creativa nell’ubago. Simone ha camminato lungo il torrente e ha osservato lungamente le sue rocce calcaree, le fessurazioni e le coloriture. Ha trovato a mo’ di gessi pietre e pigmenti e ne sono nati gli “Equilibrismi della vita”, “Seiltänze des Lebens”.
Ci piace pensare e sorridere alle ipotesi e alle fantasie che questi graffiti susciteranno in chi percorrerà i sentieri dell’ubago, magari tra anni e anni. O forse anche solo quest’estate.
Quando ci siamo innamorate di questo luogo, della grande casa in pietra, della cornice di colline, delle fasce d’ulivi, dei suoni della natura non sapevamo cosa sarebbe diventato.
Era l’inverno del 2008.
La casa di pietra portava bene i suoi circa 350 anni, ma aveva bisogno di qualche intervento 😉 e anche le fasce coltivate un tempo a ulivi e ortaggi erano ricoperte di rovi trentennali. Ma esercitammo una attitudine a guardare oltre, sostenute dalla bellezza del luogo e da alcuni buoni incontri. In un paio di anni, liberata la terra dai rovi, ristrutturata la casa valorizzando quel che c’era e consolidandolo, non restava che… esserne felici, rilassarsi davanti alle colline, dare il nome alla creatura che diventava così Casa Ubaga e chiederci cosa sarebbe stata da grande.
Il progetto ha preso forma mentre continuavamo a chiederci qual era il progetto,invitando amiche e amici a passare del tempo lì con noi, incontrandone di nuovi, mescolando saperi di chi veniva a passioni antiche e sospese, come quella per i giardini e le erbe buone, aromatiche e officinali.
Abbiamo iniziato dalla terra e al rapporto con la terra abbiamo dedicato la nostraprima iniziativa: il laboratorio esperienziale teorico-pratico sull’orto sinergico, organizzato con l’associazione Kanbio. Guido, Nicola e Vincenzo, insieme a un gruppetto affiatato di aspiranti orticoltori, noi comprese, ha dato vita a una bella sinergia da cui è nata OrtUghetta, l’orto sinergico di Casa Ubaga (2010).
Nel corso di questi anni abbiamo ospitato laboratori dedicati alla funzionalità vocale con Daniela Portonero, alla cucina naturale con ChefNatura, allo yoga con Patrizia Ottone, alla danza con Erberto Rebora, alla letteratura con Margherita Giacobino, alla lavorazione dell’argilla con Paola Cabutti e altro ancora.
E a Casa Ubaga è anche costantemente in azione una sorta di laboratorio permanente di ricerca autogestita intorno al cibo, che nutre anche la nostra biblioteca, i nostri discorsi, gli esperimenti dentro e fuori la nostra cucina. Ricerca di prodotti dell’agricoltura naturale, di semi e di piante non interessanti per l’agricoltura del profitto, confronto con altri indipendenti sperimentatori, negli orti e nelle cucine.
La crescita del non-progetto Casa Ubaga procede in modo rizomatico, producendo connessioni a partire da quel che c’è e incrocia il cammino. In questo senso abbiamo accolto anche l’arrivo di tre amiche che hanno messo su casa vicino a noi.
Di queste e altre storie di Casa Ubaga torneremo a parlare in post dedicati, strada facendo.
Questo post è dedicato al paesaggio dell’Ubago, partendo dalla mappa disegnata da Giovanni, che ha ricostruito i toponimi del territorio di Ubaghetta e di Ubaga, ascoltando i racconti degli abitanti più anziani.
A ciascun nome è legata una storia, un qualcosa capitato lì, che ha fatto sì che quel pezzetto di terra si nominasse, come Ca’ de Rudassi, dov’era anticamente un nucleo di case di cui non resta traccia, abbandonate per un’improvvisa invasione di formiche giganti.
Ma dobbiamo partire da Ubaghetta e da Ubaga, da cui è nata tutta questa storia, dai loro nomi che ci avevano subito incuriosito.
UbagoneldialettodellaLiguriadiPonente indica località selvose, esposte a settentrione. Significa impervio, opaco. E’ il contrario diabrigu, aprico, il luogo soleggiato. Ma ubago vuol dire anche, nascosto, selvaggio, misterioso, profondo.
L’aprico e l’ubago, il solare e il lunare, la riviera e l’entroterra, l’esposto e il nascosto sono aspetti indissolubili del paesaggio ligure, forse di tutti i paesaggi.
Il paesaggio è sempre anche contenitore di miti, sogni e emozioni, accumulatore di metafore (Massimo Quaini), e quello dell’ubago si è incontrato con la poetica di Italo Calvino che lo identifica come il luogo proprio della sua scrittura:
“D’int’ubagu, dal fondo dell’opaco io scrivo, ricostruendo la mappa d’un aprico che è solo un inverificabile assioma per i calcoli della memoria, il luogo geometrico dell’io, di un me stesso di cui il me stesso ha bisogno per sapersi me stesso, l’io che serve solo perché il mondo riceva continuamente notizie sull’esistenza del mondo un congegno di cui il mondo dispone per sapere se c’è” (Italo Calvino, La strada di San Giovanni).
Ubagu,Baigorix, Spéndega, Giassi…alcuni toponimi della nostra carta sono anche le figure simboliche condensate nelle “Maschere di Ubaga“, opere di 80 artisti chiamati da Franco Dante Tiglio a interpretare forze della natura e caratteri umani dell’ubago. Le opere fanno parte di una mostra permanente del museo del territorio della valle Arroscia, visitabile a Pieve di Teco.
Ora che abbiamo le cartine, le mappe, le maschere possiamo iniziare a orientarci, proseguendo il viaggio, senza dimenticare di mettere in valigia i libri – se no che viaggio è – oltre a Italo Calvino, Francesco Biamonti e altr* che si aggiungeranno, cammin facendo.