La parola musicale

La musicalità della parola (…) è quanto dà al nostro eloquio profondità, spessore, quanto fa sì che in esso sia la vita a parlare, anzichè il vocabolario
(in Coralità: conoscenza, comunicazione, società, a cura di B. Streito e L. Lorenzetti)

 

Camminando per le strade di Torino, dove vivo, quotidianamente mi trovo ad ascoltare frammenti di discorsi individuali, tracce di quella voce parlata collettiva che dice di un malessere profondo di questo nostro tempo.
Sugli autobus o nei luoghi pubblici incontro parole, modi di parlare, voci, silenzi molto simili tra loro. Affermazioni spesso urlate, talvolta gridate tra sé e sé, altre esternate dall’espressione dei volti o dai gesti. Qualcosa che fa pensare ad un vissuto collettivo imprigionato, in cattività, incattivito.

“Ezio, ma tu che pensi della fragilità?
 Penso che sia fondamentale e che sia bella.
 Non ti fa paura l’idea di essere fragili?
 Mi fa paura chi non vuole rivelare la sua fragilità”                                                         (Intervista a Ezio Bosso, 2017)

Il timore, anche inconscio, che la voce ci tradisca svelando emozioni che non amiamo mettere in luce, giustifica quella sorta di pudore che sempre accompagna le prime esperienze di canto. La percezione di essere messi a nudo è molto comune …”.                     (La voce musicale, Ida Maria Tosto, 2009)

La mia impressione sulla voce parlata collettiva ha qualcosa in comune – insieme a tanto altro – con lo stato di “timore” di cui parla Ida Maria Tosto.

Fisicamente e uditivamente è possibile cogliere lo stato della propria e altrui vocalità.
Quando si canta e si parla, mentre si ascolta cantare e parlare e nel silenzio.
Voci strozzate, gridate, introflesse, ingoiate, mute … poco importa.

Tra i primi indicatori percettivi c’è l’esperienza tattile delle vibrazioni del suono nel corpo. Soprattuto il corpo sottile, rispetto ai muscoli da lavoro (quelli delle gambe e delle braccia).
Possiamo porci alcune domande:
– Mentre parliamo ci accorgiamo fisicamente delle vibrazioni sonore oppure ci occupiamo principalmente di ciò che stiamo dicendo?
– Mentre ascoltiamo o udiamo un discorso o una voce il nostro corpo si accorge delle vibrazioni sonore che lo attraversano?
Quando siamo in silenzio come si sente il nostro corpo e come percepiamo il corpo degli altri?
E’ pesante, leggero, rigido, flessibile, caldo, freddo, quieto, ansioso …
Percepiamo lo stato vibratorio oppure la percezione del vibrare costante del corpo ci è oscura?

L’assenza di sensazioni corporee relative al suono è questione seria, che non riguarda soltanto cantanti e strumentisti.
Se non percepiamo e non siamo presenti alla vibrazione del nostro suono, se la nostra voce è pesante dal punto di vista vibrazionale, tendenzialmente significa che sta vivendo male, perché il suono è anzitutto oscillazione vibratoria.
Se non percepiamo il piacere della vibrazione sonora qualcosa dentro di noi sta tenendo in cattività la nostra voce.

La iato tra la parola detta e cosa esprimono il suono e il corpo sonoro racconta molto della fatica vocale e del disgiungimento tra sé e il discorso.

La contraddizione sovente è così palese da aver catturato la mia curiosità e voglia di capire, portandomi come sempre a coniugare i due fuochi di passione della mia esistenza: la musica e le manifestazioni collettive degli esseri umani.

Ciò che mi nutre da questo punto di vista sono la possibilità di trascorrere tempo in luoghi di extra-ordinari silenzi e suoni come CasaUbaga, l’insegnamento di Funzionalità Vocale e pratiche di condivisione e confronto.

Una bussola che mi permette di cercare orientamenti, nel sentire riflettere agire.

Daniela Portonero, insegnante di Funzionalità Vocale e Canto
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L’INCANTO DI SUONI E DI SILENZI

a cura di Daniela Portonero
insegnante di Funzionalità Vocale e Canto

“La musica si è impadronita di me perché è l’estensione del silenzio,
di quel silenzio che sempre la precede e vi echeggia?
La musica è una via d’accesso e un altrove della parola,
a quel che la parola non può dire e che il silenzio, tacendolo, dice”.
(Hêlêne Grimaud, Variazioni Selvagge)

 

CasaUbaga è per me un luogo speciale.
Una dimensione di Spazio – Tempo che mi dona pace, intima gioia, vitalità.
Da quando è nata la abito almeno un mese in estate, tornando a trovare parti di me tra un’estate e l’altra.
In questo SpazioTempo così prezioso posso immergermi in suoni e silenzi con tutto il mio essere, lasciando che la loro musica mi trasformi e mi animi.
Tra silenzi mormoranti e silenzi profondi, suoni di vita vicina, lontana e oltre ogni sfondo.

A Casa Ubaga mi dedico alla mia musica e alla musica che è principio di ogni cosa.
Da sola e insieme.

Una passione gioiosa
La nascita di un suono

Molti anni fa.
Parto da sola. Saremmo dovuti essere in tre, io e i due musicisti che avevano lanciato l’idea.
Raggiungo Santa Giustina, vicino a Belluno, dove ha sede il Centro di Formazione Vocale Voce Mea.
Quell’anno la Scuola ospitava un seminario residenziale condotto da una docente di Vienna sulla didattica musicale per i bambini. Ero andata per studiare il Metodo Orff.

Non sapevo che fosse prevista, all’interno di quella settimana, la partecipazione ai seminari sulla voce cantata tenuti dal Centro e che avrei trascorso alcune ore dedicate alla percezione sensibile del suono cantato.
Maria Silvia Roveri, la responsabile del Centro, ogni giorno con delicatezza mi invitava a cantare nell’ambito delle sue brevi lezioni individuali all’interno del lavoro collettivo.

Cantare un suono, anche solo un suono, di fronte al gruppo.
Avevo paura. Mi vergognavo. Pensavo di “non avere la voce”.

Giovedì, arriva la metà della settimana.
Maria Silvia mi consiglia caldamente di fare l’esperienza. Mi dice, testualmente: “E’ un peccato non vivere in prima persona ciò di cui abbiamo parlato ed esperito collettivamente”.

Il gruppo era empatico e solidale, mi mostrava simpatia e calore.
Sono certa che anche per questo ad un tratto ho sentito salire il coraggio. E’ stato come un calore improvviso, dai piedi alla testa.
Un’onda di coraggio, non era uno stato interiore di fiducia.

Eccomi sola, vicina al pianoforte, in piedi con le gambe un po’ molli e la vista appannata.
Maria Silvia suona una nota al pianoforte e io canto quel suono, intonato sì, ma era un suono condizionato dalla paura e dal pudore.

Maria Silvia chiede al gruppo di venire intorno a me.
Anzi su di me, perché mi aveva fatta coricare.
Ognuno suona un piccolo strumento e canta suoni: di cicale, grilli, api, serpenti. I miei orecchi, l’intero corpo sono avvolti, sollevati in volo da una materia sonora impalpabile e straordinariamente leggera.

Canto.
Canto ogni suono che Maria Silvia mi offre dal pianoforte.
Sento l’abbraccio canoro del gruppo e perdo il confine tra il mio corpo e il loro, tra il mio suono e il loro.
Non potevo distinguere la mia voce ma sapevo che stavo cantando, perché sentivo un fremito vibrante nel mio corpo, piacevole. Sembrava che qualcuno stesse cantando attraverso di me.

Improvvisamente il gruppo tace.
Sto cantando da sola. Eppure sembra un coro, un’orchestra, sembriamo in tanti.
Il mio suono risuona dentro e fuori di me, come in una cattedrale.

Il suono che mi abita fa tutto da solo, io non sto facendo nulla.
Sono ascoltatrice e protagonista di qualcosa che trascende la mia possibilità di controllo.

Maria Silvia smette di suonare.
Io smetto di cantare.
Nel silenzio vive una sorta di eco sonora.
Nel corpo e negli orecchi la presenza di qualcosa che non avevo mai vissuto prima di allora. Il gruppo tace, Maria Silvia tace, io non ho alcuna parola dentro di me.
Solo un’emozione vitale mai provata, intensa, travolgente e stravolgente. E’ bellissimo.

Il silenzio viene rotto improvvisamente, non so dopo quanto tempo. E’ il gruppo che applaude vigorosamente, fragorosamente.
Applaude i miei suoni e applaude il mio abbandono alla fiducia.

Maria Silvia dice “Eh sì, hai la voce!!!”
Balbetto “Ma… sono io che canto?”

E’ stata un’iniziazione e l’inizio.

Stupore e cambiamento di stato, una specie di piccola alterazione dello stato di coscienza.
Per me il canto è anche questo.

Quei suoni, quell’esperienza, mi hanno portata a frequentare il Centro di Formazione Vocale per circa 10 anni, a studiare per la Formazione Personale e per la Formazione Pedagogica.

Dalla nascita di quei primi suoni a mia insaputa sono diventata insegnante di Funzionalità Vocale e Canto.
Una passione gioiosa, intensa, continuamente in divenire.

 

Daniela Portonero
(CasaUbaga, settembre 2015, laboratorio autobiografico filosofico Contro le passioni tristi di Sapere Plurale, condotto da Susanna Ronconi e Patrizia Ottone)

 

 

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